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martedì 28 settembre 2010

La differenza tra psicoterapia e sostegno psicologico

La richiesta di "aiuto psicologico" è talmente vasta e diffusa da creare spesso grandi confusioni, soprattutto nella definizione che i pazienti (e non solo loro!) attribuiscono alle terapie alle quali si sottopongono.
La psicoterapia, a prescindere dai presupposti teorici del terapeuta, presuppone delle regole precise ed una formazione certificata del terapeuta.
Sempre più spesso sento di "cosiddette" psicoterapie svolte senza che nessuno di questi requisiti sia rispettato. Rapporti "pseudo-terapeutici" nei quali mancano le più elementari norme, chiamiamole di sepsi e specificità terapeutica, danno, troppo spesso, ai pazienti l'illusione di stare facendo una cosa diversa da quella che credono.
Ognuno è libero di farsi aiutare, qualora ne sentisse la necessità, da un sacerdote, da un santone zen, da un autodidatta dalle più varie provenienze, questi interventi possono anche avere una loro ragion d'essere, ma, per favore, non chiamiamoli Psicoterapia... anche due chiacchiere con il portiere o con il vicino di casa possono avere un effetto terapeutico, ma non sono certo l'equivalente di un intervento specifico e specialistico. Vivere in un mondo nel quale la conoscenza è a portata di tutti, ci porta, troppo spesso, a confondere conoscenza con competenza, ad esempio conoscere Freud, Jung, Lacan etc.,etc., non vuol dire avere la competenza di "sapere" o "potere" operare terapeuticamente.
Molti di noi hanno la patente automobilistica, ma quanti sono in grado di guidare in formula 1?

mercoledì 22 settembre 2010

I fatti di Messina ed il Burn Out

A proposito della rissa tra medici in sala parto vorrei fare alcune considerazioni. Premesso il comportamento inammissibile dei medici nell'esercizio della loro professione tanto più in un momento di massima attenzione, come quello di un parto, vorrei sottolineare quanto poco siamo abituati a monitorare lo stress, l'efficienza degli operatori sanitari che operano nelle nostre istituzioni. Turni di guardia massacranti, circolari che si contraddicono l'una con l'altra, pazienti che, giustamente si aspettano una eccellenza che, in Italia, solo raramente incontriamo e potremmo continuare a lungo. Il fatto è che episodi del genere potrebbero essere evitati con una diversa e migliore organizzazione, ad esempio cominciando con il monitorare lo stato psicofisiologico dei medici e degli altri operatori con una valutazione permanente del loro stato psicofisico, soprattutto quando è in gioco la vita...forse ci vorrebbe poco ad evitare il ripetersi di episodi che hanno dell'incredibile e nessuna giustificazione possibile.

martedì 21 settembre 2010

Coach e nuovi barbari...

Leggendo l'articolo di Baricco di oggi su Repubblica (vedi anche il Blog di di Biase) mi è venuto in mente un parallelo tra quelli che lui definisce i nuovi barbari ed un fenomeno culturale del nostro campo al quale ho già accennato qualche post fa.
Mi riferisco alla moda dei vari coach, trainer e c., che si occupano, a quanto pare con grande successo, della psiche, del comportamento e delle patologie correlate. Le librerie sono piene dei loro manuali self-help, un incontro con uno di questi guru è costosissimo, così come pure assai costosi sono i loro, per altro affollatissimi, corsi. Per lo più nessuno di loro ha una formazione medica o ha fatto studi accademici attinenti, anzi sono per la maggioranza autodidatti o laureati i materie molto lontane, legge, economia, etc..
Il mio non vuol essere un giudizio, anzi è un fenomeno, questo, che osservo con curiosità ed anche un pò di attenzione perchè cerco di capire cosa hanno da dire questi personaggi al di fuori di qualsiasi classificazione accademico scientifica (posto che questa visione del modo, sempre seguendo le idee dell'articolo di Bariccco abbia ancora un senso).
Sono l'equivalente della superficialità che Baricco contrappone alla profondità?
Sono, in poche parole, i nuovi barbari (per dirla con Baricco) gli innovatori che ancora non riusciamo a comprendere oppure si tratta dell'ennesima moda importata dagli Stati Uniti, dove è oramai uno status symbol avere il proprio coach personale... ?

martedì 1 giugno 2010

Quando è necessario pensare al Burn out.....

Quando ho proposto un gruppo sul Burn out con personale sanitario, fondamentalmente medici di base, mi sono sentito spesso rispondere “...ma io non sono ammalato!“.
Bene, forse non è abbastanza chiaro che il Burn out non è “inizialmente“ una malattia, quanto piuttosto uno stato d‘animo, un modo con il quale si comincia a vivere il proprio lavoro e la propria esistenza. Certo, un atteggiamento protratto di questo genere può portare a stati di disagio che possono condurre a vere e proprie somatizzazioni...a malattie, insomma.
Ma non è meglio prevenire tutto questo? Non è meglio pensare al proprio lavoro a come lo si sta facendo, insomma ogni tanto per un medico non sarebbe il caso di fermarsi e fare il punto della situazione? Dove sono, dove mi trovo, perchè faccio così etc.....o forse troppo presi dalla nostra attività di assistere gli altri non abbiamo il tempo di “assistere noi stessi“?

giovedì 13 maggio 2010

Da Repubblica

Quadruplicate le denunce nei confronti dei medici negli ultimi anni....

martedì 23 marzo 2010

Qual'è il momento di consultare lo psicoterapeuta?

Il disagio psicologico-psichico molto spesso non viene riconosciuto ed i primi segni che un medico di base si  trova ad affrontare spesso non vengono riconosciuti. Per esempio, una esagerata attenzione alla salute, alle funzioni del corpo (fame, digestione, andare di corpo – troppo, troppo poco) non vengono spesso evidenziate come un progressivo slittamento verso l’ipocondria che con il tempo può portare, più o meno rapidamente, alla strutturazione di una vera e propria nevrosi fobica-ossessiva.
Molto spesso un atteggiamento “compiacente” del medico di base fa si che si sia tentati dalla facile prescrizione farmacologia: questa soluzione accontenta il paziente che si porta via la sua brava ricetta ed il medico che seda immediatamente l’ansia del paziente.
Generalmente una prescrizione farmacologia che seda le ansie più superficiali funziona per un periodo breve-medio, fino a quando cioè i sintomi manifestati riescono a funzionare da argine rispetto a tutto quello che c’è dietro al disagio manifesto del paziente. Dietro le quinte, infatti, si agitano disagi psicologici che possono rimanere in uno stato latente anche per tutta la vita o manifestarsi in modo improvviso ed eclatante.
Non so quanto il medico di base sia pronto a cogliere i difficili meccanismi psichici dei propri pazienti e quanto spesso,viceversa, necessiti di una consulenza specialistica che definisca i limiti ed i contorni delle sintomatologie espresse.
Credo che costituire una “rete” culturale che tenga presente questi aspetti della salute psicologica del paziente, della serenità, dell’equilibrio, possa essere di grande aiuto per gli operatori sanitari, ai quali vengono spesso poste delle richieste incongrue, sia dal punto della richiesta della prescrizione del farmaco, sia dal punto delle aspettative , magiche, miracolose.
La psicoterapia non può certo condurre i pazienti alla felicità, ma può sicuramente aiutarli a vivere meglio, ad evitare cortocircuiti comportamentali, coazioni a ripetere, pensieri ricorrenti che, oltre ad essere dolorosi, sono anche dispendiosi dl punto di vista dell’energia psichica.

domenica 21 marzo 2010

Malasanità o mancanza di civiltà ?

Inserisco un Link ad una lettera pubblicata su Repubblica di venerdì 19 marzo.
La lettera si commenta da sola e vale la pena di leggerla !

Le storie che sfumano....

Fare una psicoterapia è spesso un lavoro lungo, difficile, faticoso ma necessario.
Quante sono le storie che sfumano, le psicoterapie che si interrompono più o meno bruscamente. I motivi manifesti sono tanti e legittimi, ma sappiamo bene che guardarsi allo specchio, smontare delle modalità di pensiero, di comportamento che ci sono appartenute per anni è difficile, faticoso e doloroso. Non è facile capire che il dolore di oggi è in grado di evitare quelli ben più grandi di domani, di dopodomani, del futuro insomma, e la ricerca della serenità è spesso una strada lunga e tortuosa che passa anche per fatica e dolori non eliminabili.
Ecco perchè si ricorre così facilmente ai farmaci sperando che le pillole "magicamente" siano in grado di risolvere tutti i problemi. Spesso, semplicemente, si interrompono strade appena intraprese: perchè non se ne vede la fine, la necessità...ed allora le storie che si è appena iniziato a raccontare, i traumi grandi e piccoli che riemergono che vengono con fatica rintracciati, verbalizzati, finalmente espressi, non importa quando grandi siano, importa che lo siano stati per noi stessi, ecco tutto questo, spesso, viene abbandonato...lasciato lì, forse per sempre perchè è difficile, perchè è doloroso, non perchè...c‘è altro che è più urgente. E poi, forse perchè la soluzione rischia di cambiare le cose in modo troppo radicale.....

martedì 16 marzo 2010

L'aumento dell'uso degli psicofarmaci...

Un articolo della Repubblica di oggi riporta un aumento del 300% dell'uso degli antidepressivi. Come dobbiamo prendere questo dato, nell'articolo si fa riferimento al disagio sociale conseguente alla crisi, ma rispondere ai momenti di crisi con un uso indiscriminato di psicofarmaci è la strada migliore?
Non essere capaci di riflettere, prendere atto e fare anche un pò di autocritica sulla società che abbiamo contribuito a costruire in questi ultimi ani, non sarebbe più naturale e vitale!

lunedì 15 marzo 2010

Le trasformazioni silenziose

Quello di Francois Jullien edito da Cortina, Le trasformazioni silenziose, è un bel libro che mette l‘accento su tutte quelle trasformazioni che sembrano pioverci addosso improvvisamente, ma che in realtà sono iniziate lentamente, insidiosamente molto tempo prima. si passa dell‘erosione delle coste, al riscaldamento globale alla modificazione dei rapporti interpersonali, tutti fenomeni che non avvengono da un momento all‘altro, ma per gradi, momento per momento, secondo per secondo. Solo che quando sono iniziati non avevamo gli strumenti per percepire quello che stava per accadere, insomma, non eravamo nella giusta prospettiva di osservazione. E‘ una riflessione importante che trova conferma nel lavoro in psicoterapia: le trasformazioni, i cambiamenti sono spesso silenziosi, lenti, ma poi improvvisamente si manifestano in tutta la loro importanza.

lunedì 1 marzo 2010

Medici e Burn out

La sindrome del Burn out è probabilmente la più diffusa e sottovalutata sofferenza psichica.
Il Burn out è probabilmente sempre esistito ed una delle categorie professionali nella quale si è comiciato ad identificarla è quella dei sacerdoti. Successivamente si è cominciato a parlare di Burn out un pò per tutte le categorie professionali, facendola divenire una sorta di pandemia. In parte i limiti della sindrome si sono dilatati, dall‘altra non possiamo non tenere presente il particolare momento storico e sociale che stiamo vivendo.
Il lavoro è diventato profondamente diverso, abbiamo assistito in tutti i campi a cambiamenti che non eravamo preparati ad affrontare. Il Burn out classico è quello del medico, generalmente intorno ai cinquant‘anni, ma anche prima, che si sente, dopo diversi anni di professione, svuotato, depresso, poco motivato. All‘entusiasmo dei primi annni di professione si sostituisce la frustrazione di una routine spesso frustrante. All‘onnipotenza della medicina vissuta durante gli studi e nei primi anni di professione si sostituisce la delusione per una serie di fallimenti diagnostici e terapeutici inevitabili. Spesso alla fine in molte categorie di medici all‘idea onnipotente della guarigione, si sostituisce l‘idea dell‘accompagnamento alla morte dei presagi di malattia e della fine della vita che devono essere comunicati ai pazienti. Dal‘altra parte soprattutto i medici più disponibili, più empatici con le problematiche psicologiche del paziente sono quelli maggiormente assediati da richiesta continue di sostegno, che non sono più solo di carattere medico-terapeutico, ma che si trasformano nella richiesta di un sostegno psicologico. Ma spesso tale sostegno è richiesto proprio a quelle figure professionali che sono maggiormente “logorate“ dal quotidiano contatto con patologie che avvicinano alla morte o a gravi patologie che minano fortemente l‘identità del paziente.  Il contatto continuo con questo tipo di realtà mette spesso in condizione gli operatori sanitari, i medici di andare incontro ad un gradiente di patologie che vanno da larvate forme di depressione sino ad un vero e proprio rifiuto del proprio lavoro. Basta pensare, per esempio, a chi lavora nel campo della oncologia pediatrica ed è a contatto quotidiano con bambini destinati a morire e a genitori destinati a perdere i propri figli. Oppure ai medici di base che sono in continuo contatto con pazienti anziani che inevitabilmente gli trasmettono l‘idea della deperibilità del corpo, della preoccupazione per la salute,della inevitabilità della morte. Ma gli esempi potrebbero essere moltissimi, per quanto riguarda i medici forse è importante dire questo: anche i medici possono stare male, e quando accade è importante prenderne atto e... fare qualcosa per se stessi, per le persone che amiamo e per i nostri stessi pazienti!

giovedì 25 febbraio 2010

Psico cosa ?

Il disagio mentale (esistenziale), se non la vera e propria sofferenza mentale sono così diffusi e così misconosciuti da rendere il tentativo di porvi rimedio, la cura, pervasivo ed inadeguato.
La terapia della sofferenza mentale o i disagi mentali più blandi, meno facilmente riconoscibili, e forse per questo più subdoli necessitano di un intervento professionale  non improvvisato. Troppi sono i tentavi di mettere in atto delle scorciatoie o di bypassare il professionista, l‘addetto ai lavori. Come già detto in altri post, forse queste figure professionali creano disagio, ma forse bisognerebbe avere la capacità di riconoscere le cose per quelle che sono e considerare il valore della professionalità , della formazione e dell‘esperienza del professionista. Sono troppi gli interventi spacciati come psicointerventi che promettono ciò che non possono mantenere, cosa pensare quando sentiamo parlare di psicodanza terapeutica? Quale tutela per i pazienti? Si possono impunemente sottointendere interventi sulla psiche senza alcun controllo, monitoraggio, garanzia per i pazienti che forse non vogliono sentirsi tali ma solo degli utenti di una scuola di ballo che magari li aiuti a risolvere i loro problemi esistenziali. Certo nel film Shall we Dance con Richard Gere il protagonista alla fine riesce ad esprimere alcune sue parti soffocate e mai completamente manifestate...ma quello era un film! E non solo, a molti di noi fa bene fare jogging giocare a  tennis, fare yoga, cucinare, ma queste sono attività distensive, ed ognuno ha la propria, possono aiutarci a stare meglio,ma non sono pratiche terapeutiche....

venerdì 12 febbraio 2010

Psicologo-Psichiatra-Psicoanalista

La domanda che più frequentemente mi sento fare, anche da persone di cultura, se non addirittura da colleghi medici è quale sia la differenza tra queste tre figure professionali. Cercherò di chiarirlo brevemente, dopodichè passerò ad alcune considerazioni. Lo psicologo, sino a qualche anno fa, proveniva da studi umanistici, ovvero da una laurea in lettere o in filosofia ed una specializzazione in psicologia, solo recentemente è stato istituito un corso di psicologia a se stante. Fondamentale è, comunque, chiarire che lo psicologo non è un medico. Lo psichiatra, viceversa è un medico che dopo la laurea si è specializzato in psichiatria. Lo psicoanalista poi è un  terapeuta che adotta, a seconda della scuola di appartenenza, tecniche in grado di sondare l‘inconscio da dove  provengano molte sofferenze psichiche. Per essere psicoterapeuti è indispensabile fare parte di una scuola di formazione riconosciuta ed aver fatto un percorso personale attraverso il quale le proprie problematiche non entrino, eventualmente, in conflitto con quelle dei pazienti. Purtroppo oggi si usano scambievolmente queste definizioni professionali che hanno attitudini e competenze molto differenti tra loro. Ad esempio, consultare uno psichiatra non è segno di gravità o di “malattia mentale“, così come  fare una psicoterapia con uno psicologo non riconosciuto, certificato, equivale a non farla affatto, anzi, come spesso accade, peggiora le cose. Purtroppo, nel nostro paese non c‘è una legislazione adeguata a tutela dei pazienti e troppe persone in molti campi esercitano abusivamente forme larvate di esercizio abusivo della professione medica ed aggiungerei anche di quella dello psicoterapeuta.

mercoledì 10 febbraio 2010

Perchè nessuno ne parla?

E‘ stato pubblicato un articolo abbastanza chiaro ed equilibrato sul magazine on line della fondazione FareFuturo sulla legge 180, forse più nota come legge Basaglia, a seguito della fiction televisiva trasmessa dalla Rai lo scorso fine settimana sulla figura dello psichiatra dal quale ne deriva il nome. Figura storica della psichiatria italiana, forse come, si dice nell ‘articolo, nel bene e nel male un totem. L‘articolo prosegue dicendo quello che tutti sanno: la legge innovativa, che era stata pensata, sia pur con  molte mediazioni non è mai decollata, ed oggi, a 30 annni di distanza ci troviamo nel nostro paese con un assistenza psichiatrica  che, pur avendo tolto l‘obbrobrio dei manicomi, è un vero fallimento. Le cosiddette strutture alternative non sono mai decollate, tolti i vecchi manicomi nuove strutture non sono state nè progettate nè realizzate, i malati di mente ricadono per lo più sulle famiglie ed oggi al posto degli elettroshock e delle camicie di forza abbiamo la contenzione psicofarmacologica che rende tutto più facile ed economico, anche a costo di cronicizare malattie e dinamiche familiari. In tutto questo la grande assente è la psicoterapia, una assistenza psicoterapeutica diffusa sul territorio nazionale, svolta da personale medico formato ad hoc a costi accessibili per tutti: perchè nessuno ne parla?

venerdì 5 febbraio 2010

Solitudine contemporanea

Bello l‘articolo di Diamanti su Repubblica di oggi.
La solitudine contemporanea ed il nuovo conformismo sono descritti magnificamente.
Insomma lo scambio con l‘altro è sempre più raro, finanche quello con un figlio, come sempre più raro è dirsi “Buongiorno!“ quando ci si incontra in ascensore, stiamo cambiando, stiamo cambiando stile di vita, abitudini, stiamo cambiando paradigma come ho detto più volte. E stanno cambiando anche le patologie, le sofferenze che questa improvvisa invasione del virtuale porta con se.

mercoledì 3 febbraio 2010

Articolo del Corriere della sera sulle relazioni virtuali

Il titolo del post riporta all‘articolo del Corriere della Sera.
In questi ultimi anni di intenso uso di internet e di una serie di giochi virtuali, il confine tra identità reale, personale ed identità virtuale, è molto più sfumato, meno netto. Molti social network, per esempio, accettano i loro iscritti con un nickname ovvero con uno pseudonimo, per cui io che nella mia vita reale sono y, nella mia vita virtuale sono, magari l‘opposto y. Quel mister Hyde che forse tutti, a volte, vorremmo essere, ovvero quello sdoppiamento della personalità che, solo, potrebbe consentirci emozioni differenti. E poi quanti di noi hanno sentito i nostri figli giocare al computer e dire:“ Accidenti, ho perso una vita, me ne rimangono ancora due.....“, ma nella vita non è così, e gli sbagli che compiamo sono spesso senza rimedio. Verso quale tipo di fantasia e di creatività stimo dirigendoci.
Queste sono considerazioni assai banali, in rete ci sono dibattiti molto più profondi e “professionali“ sul tema, Vedi il sito di Luca De Biase indicato di lato o Marco Longo su Facebbok. Ma  il dato  più importante per quello che interessa il nostro discorso è che molto più spesso gli psichiatri, gli psicoterapeuti, sono consultati per i problemi di dipendenza dalla rete, i ragazzini tornano a casa e si mettono al computer senza neanche guardarsi attorno, oppure gli adulti giocano  magari tutta la notte nei Casinò virtuali della rete...ma tutti questi comportamenti, quando  sono eccessivi, direi compulsivi diventano segni di dipendenza, spie di malesseri più profondi. Quante volte ho sentito amici, pazienti decidere di consentire ai propri figli un uso limitato della rete, per paura...di cosa?

"Baciami ancora" ovvero la banalità del quotidiano nel tollerare le frustrazioni....

Peccato, Baciamoci ancora, l‘ultimo film di Muccino, buone intuizioni espresse in maniera molto mediocre.
La difficoltà di vivere in coppia nella nostra società, di vivere le proprie difficoltà esistenziali senza ricorrere a pillole magiche o soluzioni che sono peggiori del problema stesso, è vista senza una elaborazione dei motivi che ne sono alla base. E poi l‘eterna idea di quel viaggio che forse dovrebbe essere interiore più che esotico come il film vorrebbe farci credere.  Rimane  l‘amicizia che sembra avere come collante rivalità e competizioni antiche, ma forse quello che colpisce di più è l‘incapacità del mondo contemporaneo di tollerare la frustrazioni, per cui basta poco per mandare in pezzi famiglie, amori, rapporti.
Tutto questo sullo sfondo di buone intenzioni che non riescono mai a trasformarsi in emozioni.

giovedì 28 gennaio 2010

La percezione della figura dello psichiatra

Dopo gli ultimi post sulla televisione e su chi parla in televisione di Salute mentale mi sono fatto una domanda: ma non è che la gente, il comune sentire delle persone abbia paura dello psichiatra?
Non è che la figura dello psichiatra è legata alle immagini da film nelle quali esistevano ancora letti di contenzione ed elettroshock?
Possibile che non sia percepita nel senso comune, nella cultura dei nostri tempi quella dello psichiatra come quella di un medico che cura un‘ampia gamma di sofferenze mentali che vanno da quelle più blande e facilmente curabili sino a quelle cosiddette maggiori ? Vedi i primi post sulle indicazioni terapeutiche.
Ma non è così per qualunque medico?
Un chirurgo può suturare una piccola ferita che, con il tempo verrà dimenticata, come effettuare un intervento a cuore aperto, ma non fa così paura come lo psichiatra...
Eppure, lo psichiatra proprio per i suoi strumenti, per la sua cultura, per i suoi studi dovrebbe essere quello più “vicino“ al paziente!

mercoledì 27 gennaio 2010

Anche gli chef soffrono di burn out

Ballarò e la Sanità

Ho seguito la puntata di Ballarò del 26-01-2010. Ad un certo punto tra i diversi temi affrontati si è parlato della sanità, dei suoi costi che ricadono sui bilanci delle regioni. Si è parlato anche del costo che oggi hanno le persone non auto-suffiicienti, quindi dell‘innalzamento dell‘età complessiva della società e dei costi che questo comporta e comporterà. Grande assente, da anni, oramai, nei discorsi dei politici: la salute mentale, la sua organizzazione, il suo sviluppo, una forma di rimozione collettiva, pronta ad attenuarsi momentaneamente al prossimo “fattaccio“ di cronaca nel quale sia coinvolto un ex paziente, un paziente in permesso etc, etc.
Possibile che della salute mentale debbano parlare solo i filosofi in TV per far vedere quanto sono colti e quanto sono bravi...ma i pazienti chi li cura?

martedì 26 gennaio 2010

Filosofi in TV

Mi è capitato di vedere un pezzetto di una trasmissione televisiva nella quale si parlava del ragazzo che durante un videogioco ha accoltellato il padre.
Trasmissione con ospiti famosi tra i quali un filosofo presenzialista, ovvero uno di quelli che c‘è sempre, ed è sempre pronto a fare diagnosi a dare spiegazioni, a fare cioè quello che non è: un medico, uno psichiatra. Perchè nel nostro paese i media contribuiscono a fare confusione a concedere ruoli, competenze, conoscenze a persone che non ne hanno. Forse perchè sono fotogenici?
Ma se io spettatore ho un problema, da chi devo andare, dal filosofo o dallo psichiatra, psicoterapeuta,psicologo che dir si voglia.....?
Perchè questa confusione culturale, perchè siamo arrivati a questo?

L’informazione giusta.

Ho girato per alcuni giorni tra i siti che in rete si occupano di problematiche legate alla psicologia, alla psichiatria, alla psicoterapia. Sono rimasto impressionato dal loro enorme numero così come sono rimasto impressionato dal fatto che si alternano siti altamente qualificati a siti che sconfinano con  strane filosofie spiritualistiche, cartomanzia, oroscopi e simili.
A questo punto la riflessione si sposta sulla qualità, sull’accesso e sulla selezione dell’informazione.
E’ vero quel che si dice: l’informazione è oggi disponibile con pochi click, su qualsiasi argomento ed a qualsiasi livello, il problema è quello della selezione dell’informazione giusta.
Sono disponibili in rete informazioni su farmaci, patologie e terapie ed immagino quanto tutto questo possa confondere i pazienti. Il problema è quello di trovare, pescare in rete quello che veramente ci serve è utile e funzionale. Il cambiamento è davvero grande, sino a qualche anno fa i pazienti accettavano acriticamente (forse troppo) le parole, le prescrizioni del medico, dello specialista, con la sterminata sovrabbondanza delle informazioni disponibili oggi in rete è come se questa figura fosse diventata inutile, desueta. Non c’è paziente al quale venga fatta una diagnosi o prescritto un farmaco che non si informi immediatamente su internet. E’ vero, questo vale forse per qualsiasi aspetto oramai della nostra vita e della conoscenza più in generale, ma tutto questo è un cambiamento molto forte nel rapporto medico paziente, del quale non possiamo non tenere conto.

sabato 23 gennaio 2010

Tra le nuvole

Tra le nuvole è un film commedia tipicamente americano che parla dei “tagliatori di teste”, di coloro, cioè, deputati a licenziare il personale nelle grosse industrie. Implicitamente è un film che parla anche di burn out e di mobbing, ma non solo, ci riporta il clima della psicologia motivazionale che negli Stati Uniti sta avendo un successo clamoroso quanto ignorato dalla psicologia scientifica più accreditata. Basti pensare alla citazione fatta, ad un certo punto del film, dal protagonista, di Anthony Robbins, autodefinitosi formatore motivazionale, dichiaratosi più volte orgogliosamente autodidatta, che ha venduto milioni di copie dei suoi libri in tutto il mondo. Anthony Robbins è il più famoso ed il primo di una pletora di conferenzieri e di trainer motivazionali che stanno trovando una sponda anche in tanti imitatori nostrani. Ma è questa la strada verso la quale si muove l’aiuto psicologico, la psicoterapia… se quello che avviene negli Stati Uniti è destinato ad arrivare a distanza di tempo anche da noi cosa dobbiamo aspettarci, quali cambiamenti dobbiamo aspettarci nel modo di intendere le forme di aiuto psicologico nel loro insieme?

venerdì 22 gennaio 2010

Burn out, Mobbing, Stalking

Perché mettere assieme questi termini?
Forse perché  il loro diffondersi, in questi ultimi anni, è il segno dei cambiamenti della nostra epoca.
La sindrome del Burn out, sebbene conosciuta da molti anni, sta conoscendo una sottovalutata diffusione. Se ne sta parlando in campo medico sempre più spesso, ma quanti operatori in settori tra i più disparati e diversi ne soffrono senza comprenderla, senza riuscire a dare  un nome al proprio disagio psicologico?
Bè, un esempio per tutti: pensate agli accorpamenti delle banche in questi ultimi anni, agli slittamenti, slivellamenti di carriera ai quali molti dipendenti sono stati sottoposti rendendo magari inutili i sacrifici ed il lavoro degli anni precedenti. O ancora, alla Scuola, agli Ospedali, a tante Istituzioni piccole e grandi.
E il mobbing, allora? Quante differenze nel modo di intendere il lavoro e quanti valori sul lavoro sono cambiati, quante contrapposizioni nettissime tra lavoratori sono sorte…
Infine lo stalking,  definizione più recente di un comportamento, per altro conosciuto, ma che trova la sua diffusione nella incapacità dei nostri tempi di tollerare e sopportare le frustrazioni…
E’ vero, stiamo cambiando paradigma, stiamo spostandoci nella post-modernità, ma quanti di noi sono pronti?
E quanto un'aiuto psicoterapeutico può aiutare a cambiare situazioni, equilibri,vissuti....

giovedì 21 gennaio 2010

I sogni dei nostri bambini

Uno sguardo sul mondo onirico dei nostri bambini può forse metterci maggiormente in contatto con loro..... su La Repubblica scuola, segui il link.

Le difficoltà di un percorso terapeutico.

Certamente un percorso psicoterapeutico ha le sue difficoltà, le sue regole (scientifico.professionali) ed è più facile andare da chi ti dice proprio quello che vorresti sentirti dire, ma...alla lunga cos‘è che permette dei cambiamenti, delle prese di coscienza che sono la premessa per un cambiamento di stato, per non chiamarla guarigione?

martedì 19 gennaio 2010

I tempi che viviamo

Viviamo tempi difficili che hanno inevitabilmente una influenza sulla nostra vita psichica.
La cirsi c’è, non c’è, è passata ?
Come terapeuta sento dai miei pazienti che la crisi non è passata, anzi, sento che ci siamo dentro sino al collo.
Sono cambiate in questi anni abitudini, forse valori, ma soprattutto prospettive.
E’ il futuro che non riusciamo più a vedere come amico, sono le difficoltà economiche quotidiane, ma non solo quelle, che ci rendono la vita più faticosa e più difficile .
C’è stato in questi ultimi anni un cambiamento di valori, un cambiamento di possibilità economiche che ha riguardato tutte le classi sociali e questo ha avuto conseguenze anche sul nostro comportamento quotidiano, siamo tutti più angosciati, tutti più preoccupati, quel senso di leggerezza o di ottimismo nei confronti del futuro che aveva caratterizzato i decenni precedenti sembra svanito e ad anni difficili subentrano anni altrettanto difficili.
Se dovessi elencare i cambiamenti che più hanno inciso sulla nostra vita e sulla nostra psiche in questi anni potrei stilare queste elenco in ordine temporale: il passaggio all’euro, la diffusione di internet ed il conseguente cambiamento di molti tipi di lavoro, la crisi economica degli ultimi due anni, da una parte. Dall’altre il cambiamento dei valori, la minore importanza (a torto o a ragione) data ad un certo tipo di cultura classica. In poche parole ci troviamo di fronte a quello che Baricco nel suo libro “I Barbari saggio sulla mutazione”, chiama cambiamento di paradigma. E’ così stiamo cambiando paradigma e non è facile adeguarsi. Ed anche la nostra psiche ha difficoltà a misurarsi con il nuovo paradigma che sta cercando di imporsi. Le classiche difficoltà del nostro modo di funzionare, di vivere nella società, nella famiglia, su lavoro, nel rapporto con lo psicoterapeuta non possono non risentire di tutto questo…. E non è una banalità

domenica 17 gennaio 2010

Articolo del Corriere della Sera sul Burn out dei Medici

Dati allarmanti sul «burnout» nei dottori e sulle possibili conseguenze per i pazienti. Molti arrivano ad ammettere il ricorso ad alcol e a droghe.

Il problema del burnout in campo medico è molto diffuso ma poco sentito: i medici curano, non si fanno curare! Non per nulla è esperienza comune che i medici sono i peggiori pazienti.
Ora, quella medica è una delle professioni più usuranti e stressanti, contatto continuo con la malattia, con la morte, richieste continue di rassicurazione da parte dei pazienti, orari e turni spesso massacranti ed una frustrazione di fondo per quella che è oggi la situazione delle strutture medice in Italia (fatte ovviamente le dovute eccezioni!). Ma quanto spazio viene dato al problema, quali spazi hanno i medici per esprimere i loro disagi, le loro difficoltà? Il medico è sempre più visto come una sorta di superman che non può sbagliare, avere dubbi. tentennamenti o altro.
Ma quanti sono i medici "bruciati" che non accettano di fermarsi, pensare, mettersi in discussione e trovare modi di svolgere la loro professione in maniera meno compulsiva, meno stressante e più soddisfacente per tutti?

mercoledì 13 gennaio 2010

Da "Il fatto quotidiano" Noi, allo specchio con l'uomo nero

"Noi, allo specchio con l'uomo nero"

10 gennaio 2010

Lo psicanalista Zoja: le paure ataviche e la benzina del leghismo

Il potenziale razzismo esplode e si arma di pistole e spranghe. Ma dove parte la miccia dell’intolleranza che infiamma la Calabria?
Luigi Zoja, psicanalista junghiano, abita lontano da Rosarno, ma vicino alla Chinatown milanese di via Sarpi. E avverte: "Quando scendo in strada sento parlare cinese. Negli Stati Uniti, i cinesi di Chinatown parlano inglese. Qui non c’è integrazione, né preoccupazione per la mancata integrazione".
Quella del diverso è una paura atavica. Cosa succede nella testa, rispetto all’altro da sé?
L’italiano è preparato alla percezione dell’altro molto meno che in altri paesi. Si è sempre detto scioccamente che l’italiano non è razzista. Ma dipendeva solo dal fatto che c’erano meno minoranze rispetto ad altri luoghi.
Perché l’Italia è meno preparata?
Perché non c’è tradizione. L’Inghilterra è da molto tempo abitata da pachistani, indiani e così via, a causa dell’impero coloniale. La Francia un po’ meno, ma comunque più di noi. La Germania ha visto un alto numero di immigrati e, come in Svizzera, una politica al riguardo c’è stata. Da noi tutto questo non è avvenuto: il problema vero si avrà tra una generazione. Come nell’estate delle banlieue parigine che andavano a fuoco: gli autori delle proteste erano francesi di colore. Seconda generazione: di lingua francese e passaporto francese, coscienti dei loro diritti. Quando i nostri immigrati stagionali saranno così evoluti, alzeranno le richieste.
Durante le sedute con i pazienti salta fuori la paura del diverso?
Il paziente che sceglie la psicoanalisi è generalmente piuttosto colto e sensibile, capace di autocritica. Chi ha bisogno di proiettare il male sull’altro ha un atteggiamento che definirei paranoico e incapace di autocritica. Penso che noi tutti siamo potenzialmente paranoici, ma controllati.
E quindi, potenzialmente razzisti?
Non c’è dubbio. I miei pazienti non sono mai razzisti, però nei loro sogni l’uomo nero ricorre, sempre come rappresentazione della paura.
E cosa vuol dire?
Che l’altro è avverito come minaccioso. È una distinzione primordiale, di tipo animale. Vede, gli animali tra specie diverse possono uccidersi. Erik Erikson parlava di pseudo-speciazione. L’animale ha l’istinto per distinguere una specie diversa. L’essere umano, che è animale complicatissimo e invasivo, non riconosce più l’altro essere umano se ha tratti diversi, abiti diversi, lingua diversa. Perché se il cane annusa il cane e lo riconosce, l’uomo percepisce l’altro attraverso sistemi culturali. E se l’altro è troppo diverso non lo capisce. La pseudo-speciazione è l’illusione che l’altro appartenga a un’altra specie, non a un’altra razza.
Ma il cavallo e l’asino si accoppiano e nasce il mulo.
È l’eccezione limite. Ma il mulo è sterile e quindi la cosa si ferma lì. Mi sono riletto recentemente il Mein Kampf, per un libro sulla paranoia che sto scrivendo: lì Hitler fa il salto. Dice che gli animali non accettano quelli di un’altra specie. E poi prosegue, come fanno i manipolatori, e dice: "quindi un’altra razza è troppo diversa, bisogna allontanarla e se non si può, eliminarla". Passa da specie a razza. Ma dobbiamo tener molto ben presente la distinzione. Se noi ci accoppiamo con un cinese, nasce un essere umano perfetto. Anzi l’umanità è andata avanti su questo. Gli esquimesi, nei tempi in cui erano davvero isolati, quando arrivava uno straniero lo facevano dormire con la moglie. Non facevano un ragionamento, ma l’istinto li portava a sapere che l’endogamia è geneticamente dannosa.
Come si combatte la paura dell’uomo nero?
Fa parte dei compiti civili dell’uomo tenere controllato l’animale dentro di sé. Anch’io se vedo l’uomo nero troppo diverso, mi fermo a guardarlo. Come guardo una bella donna. Ma una cosa è che mi caschi l’occhio, un’altra che io dia un pizzicotto a quella signora. Così se guardo un uomo perché istintivamente diverso, non devo dare un seguito aggressivo a questa pulsione.
Non aiuta che un ministro dica “troppa tolleranza”.
Non bisogna commentare le sciocchezze. Ci dovrebbero essere educazione e prevenzione. Non creare ghetti. Invece noi che facciamo? Aspettiamo che ci scappi il morto.

Da Il Fatto Quotidiano del 10 gennaio
http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2415619&yy=2010&mm=01&dd=10&title=noi_allo_specchio_con_luomo_ne

martedì 12 gennaio 2010

Articolo da Pagine Mediche

Ci rende più felici una buona psicoterapia o una vincita milionaria?

Chi non ha pensato, almeno una volta, che una vincita alla lotteria o un aumento inaspettato di stipendio fossero sufficienti per sentirsi più felici e soddisfatti?
Sicuramente il benessere economico rende più sereni ma da un recente studio dell’Università di Warwick sembra arrivare la conferma che “non è il denaro a fare la felicità”.
La vera chiave di volta sarebbe, infatti, il benessere psicologico: secondo Chris Boyce, a capo della ricerca britannica, la nostra società sopravvaluta il benessere economico a discapito della salute e dell’equilibrio psicofisico.
Se riusciamo ad essere in pace con noi stessi ecco che tutto il mondo intorno a noi ne trarrà giovamento.
Meglio, quindi, una seduta da un ottimo psicoterapeuta?
Secondo Boyce, investire circa 900 euro per una efficace psicoterapia vale la stessa felicità che otterremmo da una vincita di 28.000 euro.
E, viste le probabilità di vittoria, conviene forse lavorare sull’equilibrio mentale invece che aspettare che la dea bendata faccia la sua scelta.
Una vincita o l’aumento di stipendio ci danno, quindi, la percezione di risolvere i problemi materiali o di realizzare i nostri desideri, ma se riusciamo a superare i disagi e le difficoltà che bloccano il nostro Io, secondo lo studio, il risultato è praticamente equivalente.

Se volete approfondire questo è l'indirizzo:

http://news.paginemediche.it/it/231/la-mela-del-giorno/psicologia/detail_124596_ci-rende-piu-felici-una-buona-psicoterapia-o-una-vincita-milionaria.aspx?c1=80

lunedì 11 gennaio 2010

Articolo del Sole 24 ore di domenica 10 Gennaio 2009

In Italia abbiamo una storia recente dell‘assistenza psichiatrica che si colloca idealmente all‘avanguardia, ma che non ha saputo fornire strutture, servizi, leggi, regole adeguate all‘abolizione dei manicomi. Le famose strutture intermedie localizzate sul territorio non sono mai state realizzate o lo sono state in forme ed in strutture del tutto inadeguate. Il bisogno all‘assistenza psichica, quindi, non solo quella grave, ma soprattutto quella più lieve, più subdola, quella insomma che tutti possono vivere quotidianamente in alcuni periodi della propria vita, è allo stato attuale negata ed affidata o alla sensibilità del medico di base o all‘iniziativa del singolo paziente disperso nel panorama di operatori non sempre professionalmente adeguati. Non esiste, ad esempio, una rete diffusa e affidabile di consultori che possono filtrare sofferenze e ricondurle alla loro specificità: ovvero se si tratti di vere e proprie patologie al loro esordio oppure di episodi che necessitano di un sostegno psicologico temporaneo. La situazione è, per certi versi, paradossale, ci facciamo un vanto di leggi sull‘assistenza psichiatrica all‘avanguardia, e poi non abbiamo una cultura dell‘aiuto psicologico/psichico diffuso professionale e facilmente fruibile dai più.