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martedì 29 novembre 2011

La parola fine ed il suicidio di Lucio Magri

Qualche mese fa, ad aprile, è uscito un piccolo volumetto dal titolo "La parola fine", si tratta del "diario del suicidio", così come recita il sottotitolo, della giornalista Roberta Tatafiore.
Suicidio meticolosamente preparato, annunciato alle persone più intime e risolutamente messo in atto.
Oggi apprendiamo di un altro suicidio eccellente avvenuto quasi con le stesse modalità, quello di Lucio Magri mitica figura della sinistra italiana.
I suicidi di personaggi pubblici che hanno fatto scalpore e colpito l'opinione pubblica ce ne sono tantissimi, una semplice ricerca su google ci conduce a più di un sito che elenca storicamente da Marco Antonio ai giorni nostri una carrellata di volti noti, di personaggi simbolo che hanno deciso di...andarsene. Chi avrebbe pensato, ad esempio, che il giovane scrittore americano David F. Wallace, all'apice della sua carriera, si sarebbe suicidato?
Ma cosa spinge ad un lucido suicidio?
Forse si sceglie di spegnere la luce quando vengono meno gli ideali, i valori, le illusioni.
In un bellissimo articolo su "la Repubblica" Simonetta Fiori racconta di come Magri dopo la morte della moglie, dopo il fallimento della sua idea politica avesse deciso che non valesse più la pena di vivere.
Già, cos'è che ci tiene in vita?
Cosa ci permette nonostante gli affanni sempre maggiori della vita quotidiana che sia giunto il momento di spegnere la luce. E' molto difficile dirlo perché in un epoca nella quale i valori sono sempre meno stabili, un epoca che ci riserva solo incertezze e pochi entusiasmi, pochi ideali, il confine che ci separa dalla voglia di spegnere la luce diventa sempre più labile, sempre meno netto.
Esistono i suicidi d'impeto, di chi si lancia dalla finestra o di chi si spara un colpo di pistola, ma esistono anche i suicidi"ragionati", che diventano un rovello, una presenza costante nella mente, un'idea che ti accompagna lungo il corso della giornata, suadente, a volte carezzevole, facendoti pensare che è venuto il momento di dire basta.
Quando, da bambini, non avevamo più voglia di giocare ci bastava dire basta, buttare i giocattoli per aria ed andare via, il gioco si sarebbe potuto ripetere tutto di nuovo e poi di nuovo, con nuove regole, nuovi personaggi, snodi diversi delle storie che ci raccontavamo. Nella vita non è così. Nella vita se sbagli, il più delle volte non puoi rimediare, se rimani solo, spesso, sei destinato a rimanerlo per sempre, se il tuo amore non è corrisposto non puoi cambiare la trama della storia. Ed allora la voglia di spegnere la luce inizia a fare capolino, a crescere, prima silenziosa e poi sempre più alta, sempre più presente, sino a prendere tutto te stesso e il tuo modo di pensare.
Me ne vado, può essere una soluzione. Se mi rendo conto di non farcela, di non farcela più, si può socchiudere la porta ed uscire...
E non è giusto pensare al suicidio come ad un atto di vigliaccheria, per suicidarsi, ci vuole molto coraggio e come ci raccontano le storie dei suicidi eccellenti che giungono alla ribalta della cronaca anche molta determinazione e molta perseveranza. Leggete "La parola fine" di Roberta Tatafiore, piccolo gioiello sottovalutato per rendervene conto.

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